Mia Madre parla una lingua sua, e quando dico sua, intendo tutta sua. Non è certamente italiano, ma non è neache milanese. E' una sorta di miscuglio piacevole all'orecchio, colorito e affascinante. Un carosello di parole dove la struttura e la cadenza è dialettale, ma molti nomi ed alcuni verbi sono italiani o per lo meno italianizzati. Il suo vocabolario è come un carotaggio geolico della memoria: ci sono gli strati più profondi con le parole che vengono dall'infanzia contadina (il melgun ed il fameil); poi arriva il boom economico degli anni sessanta con le nuove parole tecnologiche (il frigor, il mangianastri ed il giradisci) ma anche quelle che scaturiscono dalla nuova quotidianità (come fattura o SIP che rimarrà sempre tale anche dopo l'avvento di Telecom).
Negl'anni settanta l'italiano comincia a prendere il sopravvento, un po' perché con i figli non si parla il dialetto ed un po' perché la società comincia a trattare con vergogna le proprie origini. Vent'anni dopo arriverà la Lega Lombarda a farsi paladina delle tradizioni, spingendo molti a vergonarsene ancora di più. Gli anni ottanta sono quelli della Milano da bere, ma i nuovi termini inglesi non fanno breccia, rimane qualcosa preso in prestito dalla politica come pentapartito o scala mobile. Ad onor del vero mia madre non l'ha mai azzeccato come pronunciare il nome del mascalzone dal garofano rosso, me la ricordo come se fosse ieri dire:"Ahh, quel Crassi lì".
Gli anni novanta portano il computer, ma anche i nipoti e quindi il dizionario si ringiovanisce, come mia madre del resto. Un bel nipotino vale dieci anni in meno sulla carta d'identità.
Quando ero bambino, ogni tanto sospirava con aria scherzosa:"vi lascio qui e vado a San Remo". A San Remo ci era stata da bambina, durante lo sciopero dei braccianti, quando molti bambini sono stati allontanati dalle famiglie per evitargli di patire la fame. Per 40 anni San Remo è stato il posto più esotico che ha visitato. Poi arrivano in nipoti e BAM! Comincia la rumba: Sardegna, Egitto, Canarie, Venezia, Maldive e Londra. Con i viaggi arrivano altre parole: "ceck in", "trollei", "inbarco" e "tavor". Perché "tavor"? Il primo viaggio in aereo è stato piuttosto tranquillo dopo un paio di pasticche.
Gli anni duemila sono quelli dei cartoni animati e dei termini medici. I primi per i nipoti cresciuti ed i secondi per gli acciacchi che cominciano arrivare.
Mi dispiace di aver reso solo parzialmente l'idea di quella che alle mie orecchie è una dolce, sgrammaticata,ma comunicativa sinfonia.
Il nostro linguaggio dice molto di noi, è il risultato delle nostre esperienze. Non sarà che lo specchio della nostra anima, passi per la nostra favella invece che dai nostri occhi?